Come si nota dalla tabella, quasi la totalità della popolazione era dedita all'agricoltura ed in particolare alla coltivazione dell'uva che, in parte, era destinata alla vinificazione ed in parte esportata come uva da tavola. Era, infatti, molto richiesta per il gusto zuccherino e per la particolare qualità della buccia molto spessa, che la faceva conservare a lungo; in quel periodo, quando i trasporti erano ancora difficili, questa caratteristica era un pregio. L'uva del Giglio veniva trasportata, a bordo di bastimenti, a Roma, a Livorno, a Genova, a Civitavecchia e, talvolta, anche esportata all'estero, in Svizzera ed in Cecoslovacchia.
Come abbiamo visto, dopo l'Unità d'Italia iniziò al Giglio un periodo di crisi. Ai primi del Novecento la situazione peggiorò: le vigne venivano, piano piano, abbandonate. Lo sfruttamento delle cave di granito e l'apertura di una miniera di pirite, nel 1938, offrivano buoni e sicuri guadagni, inoltre la diffusione della filossera, una grave malattia della vite, favorirono l'abbandono delle vigne. Molti gigliesi preferirono cercar fortuna altrove e per la prima volta, si ebbe un movimento di emigrazione verso il Sudamerica, soprattutto in Argentina. La prima e seconda guerra mondialenon migliorarono certo la situazione economica gigliese, ma nel periodo del boom economico del dopoguerra l'isola fu scoperta dai primi forestieri per la villeggiatura. Intorno agli anni Sessanta si ebbe un nuovo flusso emigratorio dovuto anche alla chiusura della miniera. Oggi, comunque, la maggiore fonte di guadagno per la popolazione residente rimasta è certamente il turismo. Proprio per questo, negli ultimi anni, i tré centri abitati hanno subito una sostanziale trasformazione: sono state costruite nuove abitazioni, strutture alberghiere, negozi, sono state ampliate le strade, sono migliorati i trasporti e tutti i servizi in genere. |