montecristo 0 copertinascritto da Cesare Scarfò

Mentre i telegiornali di tutto il mondo riportavano il devastante disastro del naufragio della Costa Concordia al largo delle coste del Giglio, un'altra tragedia si stava consumando silenziosamente a pochi chilometri di distanza, sull'isola di Montecristo. Considerata il cuore dell'Arcipelago Toscano, Montecristo, Riserva Naturale Biogenetica dello Stato Italiano

, è uno dei luoghi più protetti ed inaccessibili del Mediterraneo. Composta da un gigante ammasso granitico che si erge dal mare fino a quota 645 metri, è caratterizzata da liscioni a forte pendenza che strapiombano giù, immergendosi nel mare un tempo incontaminato. Per non disturbare questo fragile ecosistema, i visitatori devono chiedere di partecipare a una delle rare escursioni estive sui sentieri della Cala Maestra. Solo pochi ricercatori possono ottenere un permesso speciale per visitare l'isola senza vincoli. È in questo ambiente, un tempo incontaminato, che nel 2012 l'Ente Parco ha deciso di realizzare il progetto “Life-Montecristo 2010”, finanziato con circa 1,6 milioni di euro, disperdendo via elicottero, su tutta la superficie dell’isola, oltre 14 tonnellate di esche contenenti “brodifacoum” (allegato 1), un veleno noto per essere persistente nell'ambiente ed altamente tossico anche per gli organismi acquatici. La loro idea era di eradicare il ratto nero, presente a Montecristo dall’epoca dei Romani, con l’obiettivo di salvaguardare una unica specie di uccello marino, la Berta minore, non curanti degli effetti disastrosi che tale intervento avrebbe avuto sull’ecosistema.

GLI ESPERTI LO DEFINISCONO COME UN “DISASTRO ECOLOGICO”

Scienziati indipendenti ed esperti nel campo della fauna insulare descrivono l’effetto di una così massiccia quantità di “brodifacoum” dispersa nell’ambiente come un "disastro ecologico". Questo principio attivo è infatti un potente anticoagulante che, non essendo specie-specifico è responsabile dell'avvelenamento primario e secondario di una vastissima gamma di specie, poiché la sostanza entra nella catena alimentare attraverso innumerevoli canali e vi rimane per un tempo indeterminato. L'avvelenamento primario avviene quando un animale mangia direttamente il veleno (come avviene per Capre, Conigli, Gabbiano reale, Coturnice orientale, Uccelli granivori, Lucertole, pesci…); l'avvelenamento secondario avviene invece quando un predatore o uno “spazzino” si ciba di una preda che ha ingerito il veleno (ciò accade per rapaci notturni e diurni, Gabbiano corso, Corvo reale, serpenti, uccelli che si nutrono di insetti, anfibi come il Discoglosso sardo, pipistrelli…). L'avvelenamento primario e secondario, si possono tradurre in una lunga e straziante agonia, poiché la sostanza provoca emorragie interne e disidratazione che precedono la morte. Con questo veleno inoltre si ha bioaccumulo nell'ambiente. Per esempio, alcune specie di pesci possono consumare “brodifacoum” ad una dose sub-letale ed immagazzinare il veleno nel fegato. Se un predatore più grande, come un delfino o una stenella, mangia diversi pesci o crostacei contenenti piccole quantità di “brodifacoum”, il veleno si accumula nel suo organismo e può raggiungere un livello tale da causarne la morte. Studi recenti dimostrano che i residui di “brodifacoum” possono permanere nei pesci fino a tre anni dall’ingestione. Date le forti pendenze delle pendici di Montecristo e la presenza di numerose “rughe” e fossi, oltre al veleno finito direttamente in mare a seguito del lancio dall’elicottero, ve ne saranno confluite numerose tonnellate dopo i primi forti temporali, che sono sopraggiunti quasi un anno dopo l’ultimo lancio. Circa un mese dopo queste prime piogge, nei primi mesi del 2013, è stato descritto un insolito numero di spiaggiamenti di cetacei nei litorali a nord e ad est di Montecristo. I risultati delle indagini sulla causa della morte di questi animali marini sono stati inconcludenti, anche se i contaminanti ambientali sono stati elencati come una possibile concausa della loro morte.

montecristo 1LA CAPRA AEGAGRUS DI MONTECRISTO ESISTE ANCORA?

La popolazione di capre di Montecristo era costituita, prima della realizzazione del progetto “Life – Montecristo 2010” da un 30% di individui appartenenti ai fenotipi di Capra aegagrus, l’egagro del Vicino Oriente, e da altri tipi di capre introdotti in tempi recenti (capre domestiche dell’antica razza corsa). La capra selvatica, Capra aegagrus, ha dato il nome alle isole Egadi, al Mar Egeo, ed all’Isola del Giglio (Aeghilion). Questa di Montecristo era l’unica popolazione di capre selvatiche esistenti in Italia. Come apprendiamo da un articolo pubblicato sulla rivista Mammalia nel 2015, il Prof. Marco Masseti, esperto di faune insulari, documenta come la popolazione di Capra selvatica, Capra aegagrus (Erxleben 1777), presente sull'Isola di Montecristo sin dal Neolitico, sia stata "drasticamente ridotta, se non quasi del tutto eliminata a seguito della realizzazione del Progetto LIFE+ Montecristo 2010 della CEE". Dopo la dispersione del pellet avvelenato durante questo progetto "Life", infatti, l'antichissima popolazione di Capra aegagrus è praticamente scomparsa dall’isola. Dopo questo “disastro ecologico” l’Ente Parco ha anche organizzato un grande e sontuoso evento, collocando cinque delle capre superstiti ancora presenti a Montecristo nel BioParco di Roma. Nessuno di quegli esemplari presentava il fenotipo dell'antica Capra aegagrus, l’egagro del Vicino Oriente, di cui gli ultimi esemplari di Montecristo sono probabilmente tutti caduti vittime del “brodifacoum”. Tale fatto viene confermato dalle analisi genetiche delle capre presenti a Montecristo successivamente all’avvelenamento generalizzato condotto dall’Ente Parco e coadiutori. In tale studio, effettuato nell’anno 2014, è stato confrontato il genoma delle capre ancora presenti sull’isola - derivanti dalle 43 capre messe al sicuro in un’area recintata durante montecristo 4l’avvelenamento - e le capre di Montecristo, del fenotipo egagro, che circa 10 anni prima – fortunatamente - erano state messe al sicuro in alcuni piccoli pascoli recintati dell'Italia continentale, tra la Toscana e la Liguria, da alcuni allevatori privati entusiasti. Ebbene queste analisi genetiche hanno rivelato che gli esemplari di Capra aegagrus presenti ex situ, possiedono 27 alleli che non si trovano più nei genotipi della popolazione isolana, a conferma che le capre selvatiche originali sono state eradicate da Montecristo.

 

 

 

DALL’INTERROGAZIONE PARLAMENTARE AL TRIBUNALE

Carlo Gasparri, cittadino elbano, grande sportivo e profondo conoscitore ed amatore del mare, ex campione mondiale di pesca subacquea, appena venne a conoscenza del progetto che stavano realizzando a Montecristo, denunciò l’ente parco alla Procura. Carlo Gasparri si è avvicinato all'isola dopo l’intervento dell’ente parco, su un’imbarcazione del Corpo Forestale dello Stato, ed ha assistito a quello che descrive come "un mare di gabbiani morti in un’isola silenziosa ed inanimata”. A seguito di tale denuncia, in data 15/02/2012, il Senatore Lucio Barani, presentò al Ministero della Salute ed al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, l’interrogazione n. 4/14926 (allegato 2), esponendo tutte le violazioni della legge commesse dall’ente parco e coadiutori e le gravissime conseguenze in termini di danno alla Fauna ed all’Ambiente sia terrestre che acquatico, che ne sarebbero derivate. Il Ministro della Salute, Renato Balduzzi – purtroppo tardivamente - richiese il parere tecnico-scientifico al Centro di Referenza Nazionale per la Medicina Forense Veterinaria istituito presso l'Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana. In tale parere (allegato 3), si precisa come “il “brodifacoum” risulta essere, sulla base della più recente letteratura scientifica disponibile sull’argomento, a rilevante persistenza ambientale. A causa della scarsa degradabilità di questa molecola nell’ambiente, dopo la sua dispersione sia attraverso appositi contenitori che con mezzi aerei, si determinano notoriamente numerosi casi di avvelenamento primario e secondario in un vasto numero di specie animali, anche non bersaglio, compresi mammiferi, uccelli, invertebrati e rettili (…). Sul problema della persistenza ambientale del brodifacoum (…) esiste una vastissima bibliografia risalente già agli anni ‘90”.

Il medesimo parere tecnico-scientifico evidenzia ancora come il “brodifacoum”, una volta disperso nell’ambiente, "vi rimane per molto tempo e entra nelle catene alimentari attraverso un gran numero di modalità che solo in parte sono attualmente note, ad esempio attraverso gli invertebrati che si nutrono delle esche, i residui di pellets non utilizzati, le feci di animali che hanno ingerito brodifacoum anche a dosaggi sub letali oppure resti di organi di animali morti per avvelenamento (…)”. Il danno arrecato all’ambiente, inoltre, si estende anche al sottosuolo, come evidenziato nella stessa relazione: “L’esposizione sperimentale a 500 ppm di brodifacoum miscelato al terreno ha provocato la morte dell’85% degli esemplari di lombrichi grigi (Apporrectodea caliginosa) dopo 28 giorni dall’inizio della sperimentazione”.

Sulla scorta di tale parere scientifico, che descriveva il “disastro ecologico” che si era ormai compiuto sull’Isola di Montecristo, il Ministero della Salute inviò tutta la documentazione del caso alla Procura di Livorno.

 

INTERVENTO DELLA MAGISTRATURA - SENTENZA G.I.P. DI LIVORNO N.39/14 DEL 21/01/2014 (allegato 4)

L’imputazione mossa a carico di Stefano VAGNILUCA - Capo dell’Ufficio Territoriale per la Biodiversità di Follonica, Franca ZANICHELLI – Direttore dell’Ente Parco Nazionale Arcipelago Toscano, Vincenzo GRIMALDI – Commissario dell’ISPRA, Paolo SPOSIMO – della NEMO srl, riguarda gli articoli 110 e 650 del codice penale, rispettivamente “concorso di più persone al reato” ed “inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità”; tale imputazione, generica, che nulla rileva in ordine al grave danno cagionato all’Ambiente sia terrestre che marino, come sopra descritto, ha permesso agli imputati di ricorrere all’oblazione, pagando la sanzione pecuniaria prevista, senza che il Giudice potesse minimamente esprimersi sui fatti oggettivamente contestati. Pertanto il G.I.P. dichiarava non doversi procedere nei confronti degli stessi imputati, solo perché il reato loro ascritto era estinto per intervenuta oblazione. Ciò ha reso possibile che nessun approfondimento giudiziario venisse realizzato nel processo descritto, ma gli atti allegati a detto procedimento (tra i quali tutti quelli dichiarati nel presente documento) attestano chiaramente la gravità del reato e dei comportamenti dei soggetti imputati che, pagando l’oblazione, non li hanno contestati e li hanno riconosciuti per esistenti. L’inerzia da parte del sistema giudiziario, come sopra descritta, ha dato poi la possibilità all’ente parco ed agli altri soggetti coinvolti, di ripetere tale intervento su altre realtà insulari. Inoltre, ci si chiede come mai istituzioni autonome che dovrebbero essere preposte al controllo ed alla salvaguardia dell’Ambiente, siano state inserite poi come soggetti beneficiari di ingenti finanziamenti, perdendo così, probabilmente, quella autonomia che è indispensabile per chi intende ed ha l’obbligo di svolgere un così importante compito di supervisione, controllo e tutela.

 

LE ERADICAZIONI DEL RATTO SONO DESTINATE A FALLIRE – IL RATTO RITORNA

Dopo le numerose tonnellate di “brodifacoum” disperse sull'isola e l'innumerevole numero di animali rimasti vittime di questa azione, nessuna evidenza scientifica supporta un risultato positivo del tentativo di eradicazione del ratto da Montecristo. La NEMO s.r.l, uno dei beneficiari del progetto, ha contribuito alla reintroduzione del ratto nel 2016, durante un test di efficienza dei contenitori per esche in cui 2 dei 14 ratti radiocollarati sono stati persi su Montecristo. Inoltre con il recente naufragio del peschereccio Bora Bora al largo delle coste di Montecristo nell'estate del 2019, nuovi ratti possano essere stati introdotti nella popolazione residua di ratti ancora presente sull'isola. Va sottolineato che nel tentativo di eradicare i ratti, vengono uccisi anche tutti i loro predatori naturali come i Barbagianni ed altri rapaci; così facendo l’isola sarà sprovvista dei predatori naturali indispensabili per il naturale contenimento dei roditori.

 

CONFLITTO DI INTERESSI E MANCANZA DI UNA RICERCA PRELIMINARE ADEGUATA

Nella richiesta di approvazione del progetto “Life - Montecristo 2010”, l’allora direttore dell’ente parco, Franca Zanichelli, affermava che, "trattandosi di un intervento direttamente connesso e necessario alla gestione del sito, non è soggetto a procedura di valutazione d'incidenza”. Tale affermazione denota l’assenza di uno studio approfondito di ciò che l’intervento di eradicazione del ratto avrebbe comportato in termini di impatto ambientale sull’intero ecosistema terrestre e marino.

Nel piano di eradicazione del ratto nero, Francesca Giannini (Parco Nazionale Arcipelago Toscano) afferma che: “durante la distribuzione via aerea delle esche, nonostante diversi accorgimenti che consentano di direzionare il lancio del materiale, è difficile evitare che del prodotto finisca in mare. Montecristo presenta un profilo di costa estremamente scosceso; detta morfologia favorisce infatti l’eventuale caduta in acqua delle esche per semplice rotolamento. Il principio attivo non è solubile in acqua, ma non si può escludere che il prodotto venga ingerito dai pesci al momento della caduta e quindi che esista un rischio di avvelenamento per ingestione diretta da parte della fauna ittica.”

La Giannini riporta i risultati di un test eseguito per determinare il rischio che il “brodifacoum” venisse ingerito dai pesci. I risultati hanno dimostrato che 9 su 28 specie di pesci osservati hanno dimostrato attrazione per l'esca (occhiate, saraghi, tordi pavone, donzelle, donzelle pavonine, sciarrani scriba e cabrilla, salpe, e tordo verde), con due specie che hanno mangiato ripetutamente l'esca (salpe e donzelle). Le sue osservazioni conclusive sull'esperimento sono state le seguenti: “la donzella e la salpa sembrano essere le specie maggiormente attratte dalle esche in termini sia di frequenza che di intensità di assaggio (entrambe le specie sembrano ingerire l’esca) (…) si evidenzia comunque che le due specie sono estremamente comuni e non inserite in elenchi di specie protette di convenzioni o direttive internazionali.” Scienziati indipendenti ed esperti in biologia marina sono sorpresi dalla mancanza di considerazione per l'eventuale immissione del “brodifacoum” nella catena alimentare marina con la possibilità di avvelenamento di tutta una serie di specie, dai piccoli crostacei ai cetacei come delfini e balenottere. Erano quindi consapevoli che il veleno sarebbe entrato nel mare e che i pesci lo avrebbero ingerito, contaminando così il “Santuario Internazionale dei Cetacei”.

 

montecristo 2"PRIMUM, NON NOCERE": QUESTO DOVREBBE ESSERE IL PRINCIPIO DA SEGUIRE

Mentre la storia di Montecristo è rimasta in qualche modo inascoltata, è nostra speranza che questo articolo non cada nel vuoto. Anche se non possiamo cambiare il passato, abbiamo la responsabilità di imparare da esso. All'Isola del Giglio, l’Ente Parco ed alcuni degli stessi beneficiari del progetto “Life-Montecristo 2010”, stanno procedendo a sterminare i nostri Mufloni e a coprire con teli di plastica nera il Fico degli Ottentoti. Il progetto "Letsgo Giglio" è rimasto segreto fino a pochi mesi fa, quando sono stati rivelati i dettagli inquietanti delle sue azioni. Dopo che la nostra comunità ha comunicato le sue preoccupazioni, l’ente parco ha fatto credere che i Mufloni sarebbero stati trasferiti in grandi riserve sulla terraferma quando, invece, solo tre sono stati rinchiusi nel piccolo Centro Recupero Animali Selvatici della Maremma, dove vivranno in cattività, dopo essere stati sterilizzati. Non avendo indagato preliminarmente sull’origine del nucleo di questi mufloni gigliesi, i promotori del progetto LetsGo Giglio non sono in grado di valutarne l’importanza genetica e fenotipica.  Questo nucleo fu infatti costituito nel 1955 da Ugo Baldacci, per l’interessamento di alcuni dei più importanti zoologi italiani del tempo, Augusto Toschi, Alessandro Ghigi e Renzo Videsott, nel tentativo di scongiurare l’estinzione della specie in Sardegna e Corsica. Nel frattempo l’Ente Parco ha tenuto un corso di formazione per reclutare volontari in previsione dell’abbattimento collettivo dei Mufloni programmato dal 15 settembre. Molte persone ed esperti si oppongono al progetto "LetsGo Giglio" e quasi 5.000 firme sono state raccolte in una petizione per fermare lo sterminio dei Mufloni all'Isola del Giglio. Ogni progetto portato a termine dall’Ente Parco diventa un pretesto per compiere interventi analoghi nel futuro, così che anche disastri ecologici come quello di Montecristo potranno essere ripetuti. Questa politica di avvelenare indiscriminatamente le isole ed i mari, in spregio ai principi base dell'ecologia, non è accettabile. In medicina, c'è un detto dei Latini, attribuito al Medico greco Ippocrate: "Primum, non nocere". Questo dovrebbe essere il principio da seguire.

Ringraziamo Piero Landini per la foto in copertina.

 

I documenti destinati alle autorità sono stati richiesti agli uffici che li detenevano nel rispetto della normativa vigente.

Cesare Scarfo’ per SaveGiglio.org

Bibliografia

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